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Vincenzo Agostino e Augusta Schiera

 

 

Vincenzo Agostino e

Augusta Schiera

in attesa di Verità e Giustizia per la morte del Figlio NINO con la Moglie IDA CASTELLUCCIO e quella Creatura Innocente mai nata.

 

 

5 Agosto 1989 Palermo. Uccisi Antonino (Nino) Agostino, agente di polizia, e sua moglie Ida Castelluccio che aspettava un bambino.  

 

Foto  da malitalia.it

Fonte: familiarivittimedimafia.com

La storia dell’agente di polizia, Nino Agostino, ucciso il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini, insieme alla moglie Ida Castellucci, incinta di cinque mesi di una bambina, è certamente una delle più drammatiche ed oscure vicende della storia di un’ Italia retta, allora come adesso, da poteri deviati e da un’ antistato che troppo spesso diviene Stato. Sulla morte di Nino Agostino non è ancora stata fatta luce ed i suoi assassini, insieme ai mandanti, sono a tutt’oggi uomini liberi esattamente come qualsiasi altro onesto padre di famiglia. Sul fascicolo relativo alle indagini sul suo assassinio è stato apposto quello che non esitiamo a definire “il sigillo della vergogna” ovvero il Segreto di Stato. Nino e Ida, quel giorno, si trovavano davanti alla villa di famiglia per partecipare al compleanno della sorella di Nino. Furono trivellati di colpi da due sicari in motocicletta sotto gli occhi dei genitori Vincenzo ed Augusta. Suo padre, Vincenzo Agostino, un anziano uomo che ha percorso qualsiasi strada pur di ottenere giustizia da quello Stato per il quale suo figlio Nino ha consapevolmente sacrificato la vita, ha promesso di non tagliare più la propria barba bianca fino a che non otterrà quello che gli spetta; giustizia per suo figlio, per la sua famiglia, per la nuora Ida e per sua nipote mai nata. Di recente, nel registro degli indagati in merito all’inchiesta sulla morte di Nino Agostino e della moglie Ida Castellucci, è stato iscritto Guido Paolilli, poliziotto in pensione, indagato per favoreggiamento aggravato e continuato a Cosa Nostra. Il collega e amico di Nino Agostino, che svolse le indagini immediatamente dopo la sua morte, fornì una pista che conduceva ad un “delitto passionale”. In Sicilia questa è quasi una tradizione che se non fosse perchè si tratta di omicidi verrebbe a buon diritto inserita negli alamnacchi di storia e cultura popolare; prima li ammazzano e poi li fanno passare per pazzi o puttanieri. L’ iscrizione nel registro degli indagati è scattata in seguito ad una conversazione intercettata a marzo nella sua casa di Montesilvano a Pescara. Paolilli ed ill figlio stavano ascoltando, su RAI UNO, Vincenzo Agostino, padre dell’ agente, che in quel frangente citava le parole scritte su un biglietto trovato nel portafogli di Nino: “Se mi succede qualcosa andate a cercare nell’armadio di casa”. Il figlio di Paolilli, chiedendo al padre quale fosse il contenuto dell’armadio, si sentì rispondere: “Una freca di carte che ho distrutto”. Sul conto di Paolilli anche Vincenzo Agostino ha rivelato elementi interessanti: “un giorno Guido Paolilli, che era amico di mio figlio, insistette per venire con noi al cimitero. Incalzato dalle nostre domande sulle indagini, disse che la scoperta della verità non avrebbe fatto piacere. Disse pure che avrebbe fatto il possibile per mostrarci sei fogli”. I sei fogli non sono mai stati mostrati alla famiglia Agostino ne ve ne è più traccia. Paolilli ha dichiarato che i sei fogli vennero sequestrati durante la terza perquisizione nell’appartamento di Nino Agostino. Negli atti della Squadra Mobile risultano però solo due perquisizioni. Un’ altra incongruenza di non poco conto nelle dichiarazioni di Paolilli è quella relativa alle mansioni svolte. Paolilli ha dichiarato di svolgere servizio presso il nucleo scorte ma diversi suoi colleghi hanno asserito, smentendolo, che l’indagato svolgeva attività antimafia. Paolilli era persona di fiducia di Bruno Contrada ed ha testimoniato a sua difesa nel processo a suo carico. Si riferiva proprio a Paolilli l’agente Agostino quando disse ad un collega: “Sto collaborando con un amico per la cattura di latitanti?”. Ad oggi esiste un solo pentito che ha raccontato di questo omicidio, Oreste Pagano, il quale ha affermato: “Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della questura. Anche la moglie sapeva, per questo morì”. I servizi segreti italiani hanno sempre negato che l’agente Agostino abbia svolto servizio presso il SISMI ma la recente riapertura delle indagini sarebbe giustificata dal ritrovamento di nuovi documenti nell’archivio della Squadra Mobile che attesterebbero l’attività di antimafia del poliziotto tra le fila dei servizi segreti. Inoltre, una nota riservata del 1993, a firma del capo del centro di controspionaggio di Palermo alla prima divisione Sismi di Roma, testimonia il grande interesse dei servizi nei confronti dell’ operato dei giudici inquirenti sulla morte del poliziotto: “Centro controspionaggio di Palermo. Riservato. Oggetto: riapre l’indagine sul delitto Agostino. Data 5 marzo 1993. Secondo quanto è stato possibile apprendere il gip titolare dell’inchiesta sarebbe in possesso di due memoriali consegnati dai familiari dell’Agostino e del Piazza che avrebbero indotto il magistrato a riaprire i due casi, unificandoli. Nei memoriali di cui sopra, acquisiti dal gip, pare che siano contenute affermazioni di una certa gravità in merito al noto episodio del rinvenimento di un ordigno esplosivo nell’estate del 1989 presso la villa all’Addaura del dottor Falcone”.

 

 TOGLIETE IL SEGRETO DI STATO SUL CASO AGOSTINO, CHI SA PARLI!

 

Petizione su sito 19luglio1992.com

Caso Agostino: chiediamo che sia tolto il segreto di Stato

di Giovanni Perna

Statuto della petizione

La petizione si prefigge come obiettivo la rimozione dell’assurdo segreto di stato posto nel 2005 sul caso AGOSTINO. Antonio Agostino era un giovane poliziotto palermitano della squadra volanti, prestava servizio presso il commissariato San Lorenzo. La sera del 5 agosto 1989 Nino si stava recando insieme alla moglie Ida Castelluccio (che era incinta) a Villagrazia di Carini (PA) per festeggiare il compleanno della sorella. Nino era chiaramente fuori servizio e non aveva con sè la pistola d’ordinanza. I due ragazzi si stavano accingendo ad aprire il portone quando un commando di killer li uccise davanti gli occhi della famiglia. Sono passati 21 anni da quel 5 agosto 1989 e ancora le rispettive famiglie non hanno ottenuto verità e giustizia. Negli anni 90 Antonino Agostino e la moglie Ida sono stati riconosciuti vittime di Mafia, nel 2005 è stato apposto sul caso UN VERGOGNOSO SEGRETO DI STATO. LA FAMIGLIA, I PALERMITANI, GLI ITALIANI VOGLIONO CHE QUESTO SIGILLO DELLA VERGOGNA VENGA TOLTO!!!

Sicuramente non è un caso illustre e celebre, come quello di Moro o Calabresi ma, l’omicidio dell’agente Agostino non è meno fitto di segreti di stato, loschi intrecci e collusioni oscure tra istituzioni, servizi segreti e mafia. Un altro delitto, avvolto nel mistero. Da allora la famiglia di Nino si e’ battuta e lo sta ancora facendo, per cercare una verita’ che lo stato non vuole dare. Il signor Vincenzo Agostino ha percorso ogni strada per far conoscere la storia del figlio, da quel tragico 5 agosto non si è più tagliato barba e capelli, e non lo farà fino a quando non arriverà la sacrosanta verità sulla morte del figlio della nuora e di quel bimbo mai nato. AIUTIAMOLI E FIRMIAMO TUTTI LA PETIZIONE !!!!!!!

 

 

Articolo del 17 dicembre 2005 da ricerca.repubblica.it Poliziotto ucciso: ‘Segreto di Stato’ di Salvo Palazzolo E’ durato un attimo il barlume di luce nella stanza blindata della Procura dove si indaga sull’ omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie incinta. I pm Domenico Gozzo e Gioacchino Natoli erano arrivati a un nome importante, erano convinti di aver individuato il misterioso agente segreto con «la faccia da mostro» di cui aveva parlato il boss confidente Luigi Ilardo prima di essere ammazzato: sarebbe un insospettabile funzionario regionale – vicino all’ ex sindaco Vito Ciancimino – morto pochi anni fa per un tumore. Ma quando le indagini su mafia e servizi deviati sembravano a una svolta, un messo ha bussato alla porta della Procura e ha consegnato una busta con l’ intestazione «Sisde». I magistrati aspettavano con ansia quel documento, avevano chiesto al direttore dell’intelligence di conoscere i nomi degli agenti operativi a Palermo fra l’ 89 e il ’90. Una laconica lettera ha comunicato che quei nomi sono coperti dal segreto di Stato. Così, le indagini sull’ omicidio di un poliziotto e di sua moglie, trucidati a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989, sono di nuovo ferme. Ai magistrati non è rimasto che chiedere l’ archiviazione. Perché il segreto di Stato e i termini in scadenza dell’ inchiesta non consentono altro. «Ci opporremo all’archiviazione – dice il legale della famiglia Agostino, l’avvocato Vincenzo Gervasi – chiederemo al gip di assegnare altro tempo per le indagini. E ci opporremo soprattutto al segreto di Stato, se necessario anche attraverso un appello al presidente della Repubblica». Sedici anni dopo, il caso dell’agente Agostino, ufficialmente un poliziotto come tanti al commissariato San Lorenzo, resta un mistero che ne richiama altri. Per questo, anche la Direzione nazionale antimafia non ha mai smesso di fare accertamenti, soprattutto sulle prime indagini svolte dalla squadra mobile. Conviene partire proprio da qui. La parte civile scopre che la prima perquisizione effettuata nella casa degli Agostino non viene verbalizzata. Alcuni familiari della vittima vedono un poliziotto che porta via delle buste. Mai più ricomparse. Al funerale di Agostino e della moglie c’è Giovanni Falcone, che confida al commissario Montalbano: «Devo la vita a questi ragazzi». Ma non si è mai saputo perché. Le indagini segnano il passo. L’avvocato degli Agostino scopre che si è verificato uno strano incidente mentre i killer entravano in azione: fu coinvolta anche un’auto della polizia. Solo una coincidenza? I killer poterono scappare in contromano senza problemi. Si fa avanti un collega di Nino: «Mi confidò che collaborava con i Servizi per la cattura di Provenzano». Un parente racconta di alcuni viaggi dell’ agente a Trapani. Dove? In quegli anni, ricordano i pm, a Trapani operava l’ultima cellula del servizio segreto Gladio. Nel 2000, il pentito Oreste Pagano racconta: «Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della questura. Anche la moglie sapeva». Intanto, sul tavolo dei pm arrivano le confidenze di Ilardo al colonnello Riccio: «C’era un agente segreto che faceva cose strane. Aveva la faccia da mostro. è coinvolto nel delitto Agostino». Quando Repubblica scrive di Ilardo (22 febbraio 2003), un familiare di Emanuele Piazza, il collaboratore dei servizi ucciso nel ’90, si ricorda di un uomo con una malformazione alla guancia: «Emanuele lo frequentava». è la svolta. Le indagini portano a un uomo che in Regione ha fatto una gran carriera, da usciere a funzionario: in un vecchio fascicolo, spuntano sue frequentazioni con Ciancimino. Non c’è tempo per interrogarlo: muore prima, la cisti era diventata un tumore.

 

Articolo del 2 Luglio 2008 da La Repubblica

La verità su Agostino: era uno 007 antimafia

di Salvo Palazzolo

Adesso c’ è la prova, Nino Agostino non era un semplice agente della sezione Volanti del commissariato San Lorenzo. L’ inchiesta condotta dai pm Domenico Gozzo e Nino Di Matteo ha trovato traccia dell’ attività antimafia del poliziotto negli archivi della squadra mobile di Palermo. Per diciannove anni quelle tracce sono rimaste sommerse da un cumulo di carte inutili che cercavano di accreditare un inverosimile movente passionale. Per diciannove anni i documenti che potevano svelare il giallo sono stati occultati ad arte, non è ancora chiaro da chi. Adesso, la squadra mobile ha ritrovato quelle tracce e li ha subito consegnate alla Procura. Nulla si sa sul loro contenuto, che resta coperto da un rigido segreto istruttorio. I magistrati sembrano aver imboccato una pista ben precisa per tentare di smascherare alcuni degli esecutori del depistaggio. Un’ intercettazione ambientale ha portato nel registro degli indagati l’ ex agente della squadra mobile Guido Paolilli, con l’ accusa di favoreggiamento aggravato, per aver favorito Cosa nostra. Da mesi, la Dia di Palermo teneva sotto controllo il poliziotto, che è ormai in pensione: nella sua casa di Montesilvano, provincia Pescara, erano state sistemate delle microspie. Che hanno captato delle parole ben precise il giorno di marzo che il televisore era sintonizzato su Rai 1, mentre il padre di Agostino, Vincenzo, raccontava del biglietto trovato nel portafogli di Nino – “Se mi succede qualcosa andate a cercare nell’ armadio di casa” – e della delusione per non aver scoperto nulla di importante. Quel giorno, durante la trasmissione Tv, il figlio di Paolilli chiese: «Cosa c’ era in quell’ armadio?». Il padre rispose: «Una freca di carte che ho distrutto». Questa frase ha impresso un’ improvvisa accelerazione alle indagini sull’ omicidio di Nino Agostino e della moglie Ida. Era di Paolilli la relazione di servizio che subito dopo il delitto indirizzò i vertici della squadra mobile verso il movente passionale, per una vecchia storia che Nino aveva avuto con una ragazza risultata imparentata con pregiudicati. Paolilli era andato via da Palermo nel 1985, ma tornava spesso in Sicilia, «aggregato» alla squadra mobile, non è ancora chiaro con quali compiti. Lui, interrogato dai pm, ha detto che era addetto alle scorte. Ma le testimonianze di diversi colleghi lo smentiscono: «Svolgeva attività antimafia». Quale? Nell’ 89, dopo il delitto del suo amico Nino Agostino, Paolilli tornò ancora una volta «aggregato» alla Mobile palermitana. Poi, dopo qualche tempo, fu ingaggiato dall’ alto commissariato antimafia. Era già persona fidata di Bruno Contrada, tanto che al processo per l’ ex funzionario del Sisde Paolilli è stato chiamato come teste a difesa, uno dei pochi sottufficiali in un elenco lunghissimo di funzionari e dirigenti. Chi è davvero Paolilli? Durante l’ interrogatorio in Procura, si è limitato a dire che nel periodo dell’ alto commissariato si occupò anche delle ricerche di Totò Riina, ma si è chiuso in un silenzio profondo quando gli è stato chiesto delle sue fonti. è Paolilli «l’ amico» di cui Agostino parlò con un compagno di pattuglia poco prima di morire? «Sto collaborando con un amico per la cattura di latitanti», così disse. L’ indagine va avanti a ritmo serrato. Un’ altra traccia, ritrovata anche questa dopo 19 anni, potrebbe portare lontano: una parente acquisita degli Agostino è risultata in rapporti con uno dei Brusca di San Giuseppe Jato, i mafiosi che custodivano Riina, uno dei latitanti che il poliziotto di San Lorenzo cercava. E’ solo una coincidenza? Sembra ormai sempre più evidente che nel 1989 un gruppo di giovani, come Nino Agostino, Emanuele Piazza, Gaetano Genova (tutti uccisi) collaborava in gran segreto con un settore della polizia (o dei Servizi?) per la ricerca di latitanti. Chi sapeva di questa squadra riservata? Chi volle fermarla?

 

 

Videoinchiesta La Repubblica

Addaura, nuova verità sul Capaci

A 20 anni di distanza capovolta la scena dell’agguato mafioso all’Addaura. Nel commando c’erano uomini dei servizi segreti. I poliziotti che salvarono il giudice furono uccisi di ATTILIO BOLZONI, FRANCESCO VIVIANO

 

Articolo del 8 maggio 2010 da repubblica.it Verbali, testimonianze, identikit spariti dagli atti dell’inchiesta di Attilio Bolzoni Anni di depistaggi per nascondere la verità sull’attentato. E per ogni omicidio si seguiva la pista passionale ROMA – Carte scomparse, verbali d’interrogatorio mai più ritrovati, armadi svuotati, denunce insabbiate, identikit persi, depistaggi. E una pista “passionale” per ogni omicidio, un’amante segreta per ogni morto. Le indagini sull’attentato dell’Addaura sono l’annuncio delle stragi del 1992, sono le mosse che anticipano le uccisioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Misteri. Misteri che non sono solo di mafia ma anche di Stato. L’elenco delle prove che non ci sono più – o che non ci sono mai state perché le hanno fatte sparire prima – è la trama che racconta la vicenda di quei candelotti di dinamite destinati nel giugno del 1989 al giudice Falcone. Per arrivare a Capaci però si deve passare da altre due croci e da altre due tombe, da due poliziotti che qualcuno ha voluto a tutti i costi “sporcare” per non farci avvicinare alla verità. Cominciamo da Nino Agostino, cominciamo dalle indagini taroccate sul suo omicidio avvenuto il 5 agosto del 1989. Ucciso lui e uccisa sua moglie Ida. Era ancora a terra quando suo padre Vincenzo gli ha sfilato dalla tasca il portafoglio e, lì dentro, ha trovato un biglietto: “Se mi succede qualcosa andate a guardare nell’armadio della mia stanza da letto”. Agli atti dell’inchiesta non c’è niente del materiale sequestrato in quell’armadio. Come non c’è il resoconto di un lungo interrogatorio del padre di Nino Agostino nell’estate del 1989, quello dove riferiva di avere visto “un uomo con la faccia da mostro che cercava mio figlio una ventina di giorni prima che fosse ucciso”. Vincenzo Agostino, una mattina di ventuno anni fa, pochi giorni dopo la morte del figlio, entrò alla squadra mobile di Palermo per raccontare: “Sono venuti in due a casa mia e volevano parlare con Nino, mi hanno detto che erano suoi colleghi. Uno aveva una faccia da mostro, martellata dal vaiolo e con un muso da cavallo… era biondastro”. Probabilmente la stessa “faccia da mostro” segnalata negli anni successivi da più testimoni (e anche da un mafioso informatore di un colonnello dei carabinieri) sui luoghi delle stragi in Sicilia. La testimonianza di Vincenzo Agostino è stata inghiottita nel buio: non ce n’è traccia in un solo atto della corposa inchiesta sull’uccisione del poliziotto. Tutta l’indagine sull’omicidio per anni si è sviluppata intorno a una vecchia storia d’amore, un’antica fidanzata di Nino. “Una follia”, ha sempre ripetuto il padre, “una follia per potere portare avanti un depistaggio dopo l’altro”. Hanno cercato “una donna” anche per trovare un movente all’omicidio di Emanuele Piazza, il collaboratore del servizio segreto civile strangolato il 15 marzo 1990, nove mesi dopo l’attentato all’Addaura. Tre volte suo padre Giustino ha dovuto chiedere la riapertura di un’inchiesta che volevano mandare subito in archivio. E sette mesi, dalla morte di Emanuele, hanno dovuto attendere i magistrati della procura della repubblica di Palermo prima di ricevere una nota del Sisde (firmata dal direttore del Servizio Riccardo Malpica, il 22 settembre 1990) che testimoniasse la “collaborazione” del ragazzo “con i commissariati di San Lorenzo e Mondello per la ricerca dei latitanti”. Nebbie che hanno avvolto fin dal principio la morte di Emanuele Piazza. Ricorda oggi il padre: “Ho denunciato la scomparsa di mio figlio il 17 marzo alla polizia, ma la polizia non ha ritenuto di avvertire i carabinieri neanche con una velina. Dopo tre mesi la notizia della scomparsa di Emanuele è stata pubblicata da Repubblica e, a casa mia, si sono precipitati i carabinieri della stazione Crispi per chiedermi conto e ragione perché non avessi presentato denuncia.. io sono rimasto sconcertato”. Come è rimasto senza fiato quell’altra volta che un alto del funzionario del ministero degli Interni, davanti a un magistrato, ha ammesso “di avere conosciuto una volta Emanuele Piazza all’Hotel delle Palme di Palermo” e poi di non averlo incontrato mai più. Ricorda ancora Giustino Piazza: “Quel funzionario telefonava ogni sabato pomeriggio a casa mia a Sferracavallo e chiedeva di Emanuele, che conosceva molto bene”. Coperti dai segreti, l’omicidio Agostino e l’omicidio Piazza, sono i due “casi” che ruotano intorno all’attentato dell’Addaura e che segnano in qualche modo il calvario che porterà a Capaci. Le ultime indagini cercano collegamenti fra la dinamite davanti alla villa di Falcone del 1989 e la strage del 1992, c’è un filo – non solo mafioso – che parte dagli scogli dell’Addaura e finisce sull’autostrada Trapani-Palermo. È anche storia di identikit scomparsi e ritrovati in altri fascicoli (quelli degli assassini del giudice), di atti finiti in fascicoli diversi da quelli dove dovevano stare, di informative dimenticate in qualche cassetto. Un “disordine” perfetto.

 

 

Articolo del 5 Agosto 2010 da Il Fatto Quotidiano

Nino Agostino. Ammazzato per niente

di Giulio Cavalli

Durante un matrimonio, matrimonio mica da persone normali, ma tra fecce di mafia. Quei matrimoni con il sapore acre del gangsterismo e per di più nel dorato Canada. A sposarsi è Nicola Rizzuto, uomo di Cosa Nostra trapiantato nel profondo nord americano, e tra un flute di champagne e una mezza ostrica e saliva Oreste Pagano intercetta un bisbiglìo:“Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della questura. Anche la moglie sapeva, per questo morì.” Una storia di desolazione mica normale, quella del poliziotto Nino Agostino ammazzato con la moglie Ida Castellucci a Villagrazia di Carini il 5 agosto del 1989. Con una nascitura di cinque mesi nel grembo morta prima di nascere, come quelle storie che finiscono sempre per essere di seconda mano. Perché se muori ammazzato d’agosto sulle strade che portano al mare senza favole o poesie ma solo a forma di due cadaveri e mezzo e un cespuglio folto di punti di domanda, nel nostro disperato Paese, finisce che sei pure un morto ammazzato di serie b. Nella gogna del ricordo che divora vittime come fosse un gorgo. Eppure Nino Agostino era un poliziotto di quelli che ci credono al proprio lavoro, di quelli che in missione ci sono da sempre, senza decreti di governo o premi in busta paga, in una Sicilia assolata che in quegli anni passa sui morti come fossero un colpo di sole. Eppure Nino Agostino, da vivo prima che da morto, è una storia italiana con tutti gli ingredienti della melma: un collega e (presunto amico) Guido Paolilli, oggi in pensione, che indaga sul caso e chiude il faldone parlando di “delitto passionale”. Come nelle più becere e scontate storie di pavidità d’indagine; una presunta collaborazione di Nino con i servizi segreti e un coinvolgimento nelle indagini per la cattura del boss dei boss Bernardo Provenzano; un foglietto, stropicciato, nel portafoglio in cui si legge “Se mi succede qualcosa andate a cercare nell’armadio di casa”, e nell’armadio di casa, ovviamente, arriva prima di tutti una perquisizione che verbalizza di non avere trovato nulla di interessante. Oggi Nino Agostino è un fantasma. Un fantasma con in tasca una storia sempre troppo poco conosciuta e un serie di incroci che lambisce anche Bruno Contrada. Suo padre Vincenzo, insieme alla moglie Augusta, caracolla per l’Italia raccontando di una famiglia sparata prima ancora di sbocciare rivendicando la giustizia. Ha la rabbia degli onesti traditi senza risposte e lo sguardo lieve di chi non ha mica smesso di voler essere padre di suo figlio, e una barba lunga che gli si appoggia all’altezza del cuore che non taglierà finché non avrà risposte. Nel calderone altisonante della mafia epica la storia di Nino e Ida Agostino é una barba di storia. Nella quotidianità della memoria esercitata la storia di Nino e Ida Agostino é una storia da tenersi in tasca. Per ricordarsi almeno quante storie ci dimentichiamo, dimenticandoci che non ce le hanno nemmeno raccontate per intero.

 

 

articolo del 5 Agosto 2010 da malitalia.it

Nino Agostino: una morte ancora misteriosa

di Laura Aprati

Villagrazia di Carini, un caldo giorno dell’estate del 1989. Il 5 agosto Nino Agostino e sua moglie Ida,al quinto mese di gravidanza, vengono uccisi dinanzi ai propri familiari. Il padre Vincenzo è un signore garbato, ostinato che non si arrende di fronte al dolore più grande che possa colpire un genitore, sopravvivere al proprio figlio. La sua barba bianca è la testimonianza del suo non volersi arrendere, della sua ostinazione.

Vive solo per scoprire chi ha ucciso Nino, Ida e la nipotina che stava per arrivare. Un pentito, Oreste Pagano ha raccontato che ad un matrimonio,in Canada, ha sentito raccontare di questo omicidio da Alfonso Caruana (boss siculo-canadese di Cosa Nostra) “sono stati uccisi perché il poliziotto aveva scoperto i collegamenti tra le cosche ed alcuni componenti della questura. Anche la moglie sapeva e per questo morì”. Questi collegamenti che Nino aveva scoperto forse portavo al collega Guido Paolilli, iscritto nel registro degli indagati in seguito ad una conversazione intercettata con il figlio nella quale parlava delle carte, chiuse nell’armadio di Nino, che lui aveva distrutto?

Questi collegamenti sono legati forse, come le ultime indagini mettono in evidenza, al fallito attentato, all’Addaura, a Giovanni Falcone il 20 giugno 1989?

Certo la morte di Nino e Ida aspetta ancora oggi la verità. La aspettano anche papà Vincenzo e mamma Augusta. La cercano anche per non credere che per lo Stato ci siano morti di serie A e quelli di serie B. La aspettano per non sentirsi traditi proprio da chi dovrebbe proteggerli e dare giustizia.

 

 

 

 

 

 

Articolo del 5 agosto 2011 da corrieredelmezzogiorno.corriere.it A 22 anni di distanza : Delitto Agostino, indagati anche un prefetto e un ex poliziotto L’inchiesta ha imboccato una nuova strada che conduce ai servizi segreti e agli apparati investigativi PALERMO – Un prefetto e un ex poliziotto in pensione risultano indagati per l’uccisione, esattamente 22 anni fa, dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio. L’inchiesta della Procura di Palermo ha imboccato una nuova strada che conduce ai servizi segreti e apparati investigativi sospettati di avere depistato le indagini o comunque di avere svolto un ruolo oscuro nello scenario in cui maturò il delitto. Dopo l’ex funzionario di polizia Guido Paolilli, il cui nome era già emerso, oggi il quotidiano L’Unità rivela che è indagato anche Antonio Daloiso, già prefetto di Messina e di Reggio Calabria nonchè capo di gabinetto dell’Alto commissariato antimafia sciolto nel 1992. Un terzo poliziotto, pure indagato, non sarebbe stato riconosciuto dal padre di Agostino come l’uomo che gli avrebbe chiesto notizie del figlio poco prima dell’agguato del 5 agosto 1989. Daloiso, secondo quanto scrive l’Unità, sarebbe stato chiamato in causa dal collaboratore di giustizia Vito Lo Forte che lo collega al «complotto» per uccidere Giovanni Falcone con una bomba trovata nel giugno 1989 sulla scogliera dell’Addaura davanti alla casa di villeggiatura del magistrato. La strage sarebbe stata evitata da Agostino e da uno 007 sotto copertura, Emanuele Piazza. Entrambi sarebbero stati per questo eliminati: Agostino quasi due mesi dopo, Piazza scomparve, invece, nel marzo 1990. Fu sequestrato e subito ucciso, hanno riferito alcuni pentiti. Il nuovo filone investigativo, che punta sui depistaggi e su una sinergia tra mafia e organi dello Stato, sta mettendo a fuoco anche il ruolo del boss Gaetano Scotto già indagato per l’attentato dell’Addaura e di altri esponenti della cosca di Vergine Maria.

 

 

Articolo del 21 Novembre 2011 da stampacritica.it/

Una barba lunga 22 anni

di Beatrice Andolina

Nino e Ida uccisi da più di venti anni e ancora c’è il segreto sulle indagini

Questa storia parla di due giovani sposi in attesa di una bambina uccisi a colpi di arma da fuoco e del padre di lui, che testimonia la sua rabbia facendola confluire in questa lunga barba bianca che, per protesta, non taglia più da quel tragico giorno: il 5 agosto 1989.

Nel 2002 Lee Tamahori dirigeva il film “Agente 007 – La morte può attendere”, mostrandoci, ancora una volta, come il più noto fra gli agenti segreti di tutti i tempi, potesse continuare imperterrito a sfuggire alla morte e ai complotti dei poteri forti.

Ma questa è un’altra storia.

La nostra parla di due giovani sposi in attesa di una bambina uccisi a colpi di arma da fuoco e del padre di lui, che testimonia la sua rabbia facendola confluire in questa lunga barba bianca che, per protesta, non taglia più da quel tragico giorno: il 5 agosto 1989 davanti alla villa di famiglia a Villagrazia di Carini.

Ma la storia comincia a giugno dell’89 con l’attentato all’Addaura, nella villa del giudice Giovanni Falcone, quando un certo Gaetano Scotto, boss mafioso condannato per la strage di Via D’Amelio e ancora in carcere ad oggi, fallisce il colpo e si ritrova a pedinare i due giovani sposini – Nino Agostino ed Ida Castelluccio – durante il loro viaggio di nozze.

Due ragazzi semplici e molto innamorati: lei incinta di 5 mesi; lui agente di polizia o meglio “agente speciale infiltrato sotto copertura” – quello che normalmente noi definiremmo un “agente 007” – come attestano alcuni documenti trovati di recente, nell’archivio della Squadra Mobile, inerenti le sue attività antimafia tra le fila dei servizi segreti (SISDE).

Ma attenzione: questo non è mai stato ovviamente confermato da nessuno dei servizi segreti e il “punto sta tutto qui”!

Arnaldo La Barbera ex-questore di Palermo a capo delle indagini del loro assassinio indirizzò tutto sul movente passionale, sequestrando l’agenda, i fascicoli e quanto trovato in casa dei novelli sposi e nell’armadietto di Nino Agostino.

Nella squadra investigativa il funzionario di polizia Guido Paolilli, collega ed amico di Nino – indagato per favoreggiamento, intercettato mentre confessava al figlio di avere distrutto una mole ingente di carte contenute nell’abitazione privata dei coniugi Agostino – probabile “uomo di fiducia” di Bruno Contrada – il capo dei servizi segreti italiani – per il quale testimoniò in difesa nel processo a suo carico.

La notte dell’uccisione di Nino e sua moglie Ida, alcuni ignoti “uomini dello Stato” riuscirono ad entrare nell’abitazione dei defunti e fecero sparire degli appunti che riguardavano delle importanti indagini che stava conducendo Agostino (da Wikipedia).

Paolilli disse un giorno a Vincenzo – padre di Nino – che la verità non gli avrebbe fatto piacere, e che durante la terza perquisizione nella casa del figlio, aveva requisito 6 fogli che avrebbe voluto fargli leggere, ma questo non avvenne mai e comunque negli atti della Squadra Mobile non risultano tre perquisizioni, bensì 2. Vincenzo Agostino, in pubblico ha sempre parlato del biglietto trovato nel portafogli di Nino: «Se mi succede qualcosa, andate a cercare nell’armadio di casa». L’armadio fu trovato ufficialmente vuoto.

Antonio Daloiso l’ex-capo di gabinetto dell’Alto Commissariato antimafia, oggi ex Prefetto in pensione e tale Aiello – agente di polizia – anche lui in pensione, entrambi da pochi mesi inscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo – sembrerebbe avessero contatti con il boss della mafia Gaetano Scotto. Ad asserire questo sono “il bruciato e lo zoppo”, rispettivamente Ignazio D’Antone – condannato per mafia e ancora oggi detenuto – ed il poliziotto Aiello riconosciuto in foto nel 2009 dal pentito Vito Lo Forte – riconoscimento non confermato da Vincenzo Agostino, nel corso di una sua recente testimonianza, rilasciata a seguito di una convocazione per attestare se trattasi dello stesso uomo che pochi giorni prima dell’agguato gli chiese informazioni sul figlio.

Lo Forte sostiene che Daloiso e Aiello facevano parte del complotto per uccidere il giudice Giovanni Falcone nella sua casa di villeggiatura dell’Addaura nel giugno dell’89 e che Nino Agostino era uno “007” infiltrato, ucciso per aver aiutato, Emanuele Piazza a sventare l’attentato al giudice – anche lui giovane “007” che si occupava di scovare i latitanti assassinato con il metodo della lupara bianca nel marzo del ’90. Da recenti indagini mediante una perizia sui DNA, risulta che Agostino e Piazza non erano fra gli attentatori all’Addaura. I genitori di Piazza furono convinti da Arnaldo La Barbera, che Emanuele avesse lavorato con Gianni De Gennaro per ritardare la denuncia di scomparsa del figlio con la scusa di non intralciare le indagini, senza che questi potessero poi neanche piangersi i resti mai ritrovati del giovane figlio.

Il pentito Oreste Pagano, racconta di aver saputo da terzi nel corso del matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada, che Gaetano Scotto, rappresentante dei clan palermitani, aveva ucciso un poliziotto e la moglie per aver scoperto i collegamenti fra le cosche mafiose ed alcuni componenti della questura.

Il Pm Nino Di Matteo sostiene che seppur non ci sia un segreto di stato sul caso dei coniugi Agostino, ci si scontri costantemente con innumerevoli reticenze da parte di uomini delle istituzioni.

Vincenzo Agostino è un uomo pieno di forza e coraggio: ha promesso di non radersi più la barba finché non verrà fuori tutta la verità sulla morte del figlio e di sua moglie, rese inutili dai continui depistaggi, che come “corte coperte”, lasciano intravvedere le falsità ostentate anche a dispetto della ragione umana.

Augusta Schiera, madre di Nino, sempre a fianco del marito, porta avanti insieme a lui un “grido di giustizia”: grande esempio di dignità e forza che va oltre il dolore della perdita di un figlio e della sua giovane famiglia.

Ma quale giustizia si avrebbe se finalmente si trovassero i mandanti dell’omicidio dei coniugi Agostino, considerando che dopo 20 anni i reati commessi dagli stessi potrebbero andare in prescrizione?

Mamma Augusta e papà Vincenzo, io vi starò vicino. Un grande abbraccio a tutti e due.

« Io a quel ragazzo gli devo la vita. » – Giovanni Falcone a un amico commissario il 10 Agosto 1989 al funerale di Nino Agostino e sua moglie Ida Castelluccio.

Le tre giovani vite gli valsero solo per poco meno di 3 anni!

 

 

 Stele sul luogo dell’agguato:

 

Foto di Giovanni Perna da facebook.com   

Qui il 5 Agosto 1989 venne ucciso L’agente di Polizia Nino Agostino giovane servitore dello stato insieme alla sua sposa Ida Castelluccio ed al figlio che portava in grembo, da quel tragico giorno la famiglia attende verità e giustizia

 

Nota a margine della foto di Giovanni Perna:

“Magari a volte il vento, le intemperie in genere, le persone (se cosi’ si possono definire) tolgono quello che la gente che si trova di passaggio vi porta (NINO e IDA) ma noi torneremo sempre in quella stele a rimetterle. Un bacione …ovunque voi siate ♥”

 

 

 

ANTONINO AGOSTINO

Pubblicato il 05/ago/2014

Molti palermitani conoscono senza dubbio Vincenzo Agostino, il padre di Antonino (nella foto), l’agente della Polizia di Stato, ucciso il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini, assieme alla moglie Ida Castelluccio, che portava in grembo un bambino. Lui aveva 28 anni e lei 19. Per chi non sa nulla di lui, comunque, quell’uomo ha deciso di non tagliarsi più la barba fino a quando non si scopriranno i colpevoli, che non hanno ancora un volto. E dopo diciannove anni sembra che ci sia finalmente una svolta sul duplice omicidio, perché adesso c’è un nome in più: un altro poliziotto, uno di quelli che indagò sull’uccisione di Antonino e Ida, il cui nome è Guido Paolilli. Secondo i sostituti procuratori della Dda di Palermo, Domenico Gozzo e Nino Di Matteo, l’indagato avrebbe depistato le indagini ed ora è stato fermato per favoreggiamento aggravato e continuato con l’aggravante di aver favorito la mafia. Guido Paolilli non è un nome nuovo per il padre di Antonino, in quanto ha dichiarato che “Un giorno Paolilli, che era amico di mio figlio, insistette per venire con noi al cimitero. Incalzato dalle nostre domande sulle indagini, disse che la scoperta della verità non avrebbe fatto piacere. Disse pure che avrebbe fatto il possibile per mostrarci sei fogli”. La casa dell’indagato, ora in pensione, che si trova a Montesilvano, è stata perquisita alla ricerca di qualche traccia dei documenti che Antonino Agostino conservava nel proprio armadio, scomparsi subito dopo l’assassinio. Ma chi era davvero il poliziotto ucciso? Forse non era un agente semplice in servizio presso il Commissariato San Lorenzo Colli ma probabilmente aveva una seconda vita, quella di agente segreto che svolgeva delicate investigazioni su Cosa Nostra. E sarebbe questo il motivo del muro di gomma contro cui si sono scontrati tutti quelli che nel corso degli anni hanno cercato di scoprire la verità sul suo omicidio, a proposito del quale Giovanni Brusca, durante un processo, dichiarò che Antonino Agostino fu ucciso per vendetta, avendo arrestato un picciotto. Ed ora per questo eroe potrebbe essere vicino il momento della verità e noi l’attenderemo.

 

 

 

Articolo del 17 Giugno 2015 da  palermo.repubblica.it Delitto Agostino, il gip riapre l’inchiesta. “Nuove indagini su faccia da mostro e sul depistaggio” Rigettata la richiesta di archiviazione presentata dalla procura per i due presunti sicari, Gaetano Scotto e Antonino Madonia. Il giudice Maria Pino ordina nuovi accertamenti, da fare entro sei mesi. Sull’ex capo della squadra mobile La Barbera e sull’ex agente Aiello di SALVO PALAZZOLO E’ ormai diventato il simbolo dei misteri di Palermo. L’assassinio del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, che era incinta. Furono trucidati il pomeriggio del 5 agosto 1989, a Villagrazia di Carini.  Poi, i due killer sulla moto scomparvero. E di loro non si è saputo più nulla. Fino a quando, alcuni anni fa, il pentito Vito Lo Forte ha fatto due nomi. Quello di Antonino Madonia, all’epoca uno dei sicari più fidati di Totò Riina, rampollo del capomafia di Resuttana. E quello di Gaetano Scotto, un imprenditore dell’Arenella ritenuto vicino a strani ambienti dei servizi segreti. Ma le parole di Lo Forte non sono bastate ai pubblici ministeri Nino Di Matteo e Francesco del Bene per portare a processo i due presunti assassini del poliziotto e di sua moglie. Così, un anno fa, era scattata una richiesta di archiviazione, a cui si era opposto l’avvocato Fabio Repici, in rappresentanza della famiglia Agostino. Lunedì mattina, il giudice delle indagini preliminari Maria Pino ha firmato l’ordinanza che  rigetta l’archiviazione e ordina alla procura nuove indagini, da fare entro sei mesi. Il giudice intende cercare riscontri alle parole di Lo Forte. Nella sua ordinanza di quattro pagine ricorda che la fonte del collaboratore è Pietro Scotto, il fratello di Gaetano: «Ero in carcere quando successe l’omicidio – ha detto sin dall’inizio Lo Forte – nel dicembre 1989, poi, mentre ero agli arresti domiciliari Pietro Scotto mi disse questa cosa. Gli interessava dire che il fratello era diventato importante». Il giudice suggerisce di interrogare Vito Galatolo sull’argomento, anche lui gravitava nello stesso ambiente di Scotto e Madonia. «Dovrà altresì tenersi conto – aggiunge Maria Pino – di quanto il collaboratore Angelo Fontana ha ritenuto di aver appreso da Angelo Galatolo, figlio di Giuseppe, e da Antonino Pipitone, sia di quanto dichiarato da Francesco Onorato, in merito al rapporto che anteriormente al 1992 sarebbe valso a legare Antonino Madonia, esponente apicale del mandamento di Resuttana, al funzionario della polizia Arnaldo La Barbera». E’ il capitolo più delicato delle nuove indagini chieste dal gip, quello dei rapporti fra mafia ed esponenti delle istituzioni. Rapporti che Agostino avrebbe scoperto lavorando sotto copertura ad alcuni casi. Quali, non è ancora ben chiaro. Perché lui era ufficialmente solo un agente del commissariato San Lorenzo, in realtà si sarebbe occupato della cattura di alcuni superlatitanti, come svelò la sera del delitto un suo collega di pattuglia. Ma quella confidenza fu ignorata dall’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, che preferì piuttosto seguire la pista di un’improbabile vendetta per motivi passionali. Dunque, adesso, il gip chiede che si faccia luce anche sul depistaggio che per molti anni ha impedito la ricerca della verità sul caso Agostino. In questa direzione, Maria Pino accoglie una richiesta del legale di parte civile della famiglia Agostino e sollecita la procura di Palermo a recuperare la trascrizione integrale dell’audizione dell’ex prefetto Luigi De Sena davanti ai pm di Caltanissetta: De Sena fu fra il 1985 e il 1992 ai servizi segreti, era grande amico di La Barbera. A lui i pm avevano chiesto dei rapporti fra l’ex capo della mobile palermitana e il Sisde. Ma le risposte sono state evasive. E il giudice vuole approfondire il perché. Maria Pino dispone pure che il padre dell’agente ucciso venga messo a confronto con Giovanni Aiello, l’ex poliziotto della squadra mobile di Palermo sospettato di essere “faccia da mostro”, l’infedele che secondo alcuni pentiti sarebbe stato al centro di una lunga stagione di delitti eccellenti. Un uomo con la “faccia da mostro” aveva cercato Nino Agostino pochi giorni prima del delitto, a casa di suo padre. Disse: “Siamo colleghi”. E andò via con un complice, su una moto.   «Credo che oggi siamo più vicini alla verità – commenta Fabio Repici – questo provvedimento del giudice Pino è importante, perché consentirà alla procura di Palermo di acquisire tutta una serie di nuovi atti di indagine disposti in questi ultimi mesi». Sono le indagini di Caltanissetta e di altre procure su “faccia da mostro”. «Ho la speranza che a breve si possa finalmente aprire un processo per l’omicidio di Nino Agostino e di sua moglie Ida – dice Repici – è venuto il momento di fare luce su questa drammatica pagina della nostra storia recente».

 

 

Articolo del 5 Aprile 2016 da  antimafiaduemila.com Caso Agostino, il Gip Maria Pino concede altri sei mesi di indagine di Aaron Pettinari La richiesta dei pm della Procura di Palermo, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, di prorogare le indagini sull’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino, ucciso insieme alla moglie (incinta) Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989, è stata accolta dal Gip Maria Pino. L’istanza era nata dall’esigenza di completare quegli accertamenti che lo stesso giudice, nel respingere la prima richiesta di archiviazione dei pm, aveva indicato. Nei mesi scorsi si sono tenuti importanti incidenti probatori. Dall’esame dei pentiti Vito Galatolo e Vito Lo Forte, al confronto all’americana tra Vincenzo Agostino (padre dell’agente ucciso) e l’ex poliziotto Giovanni Aiello. Quest’ultimo è stato riconosciuto come “l’uomo con la faccia butterata” che sarebbe andato a cercare il figlio qualche giorno prima che venisse ucciso. Per il duplice delitto sono indagati i boss Nino Madonia e Gaetano Scotto ed anche lo stesso Aiello, accusato di avere aiutato a fuggire dal luogo dell’omicidio Scotto e Madonia. A tirare in ballo Aiello nel delitto è proprio il collaboratore di giustizia Lo Forte che agli inquirenti ha dichiarato di aver conosciuto Aiello attorno al 1987. “Mi fu presentato da Gaetano Scotto – ha detto in aula – Ho appreso il suo cognome in un secondo momento, alcuni giorni dopo, in quanto la prima volta mi era stato presentato come Giovanni. Nella seconda occasione, anche alla presenza di Gaetano Vegna (ex boss dell’Arenella, ndr), Scotto mi disse che l’Aiello unitamente allo Scotto era un ex poliziotto, successivamente in forza ai Servizi Segreti”. Sull’omicidio il pentito ha aggiunto: “Nino Madonia, Gaetano Scotto e Giovanni Aiello parteciparono all’omicidio dell’Agente Agostino e della moglie. Il ruolo di Aiello fu quello di prelevare con una macchina ‘pulita’ Madonia e Scotto, che avevano eseguito l’omicidio, e di aiutarli a bruciare la motocicletta usata nell’attentato. Seppi questi particolari poco tempo dopo l’omicidio di Gaetano Vegna”. Sull’omicidio, davanti al Gip, il pentito ha specificato che il poliziotto “era stato ammazzato da Nino Madonia, che sparò, e da Gaetano Scotto, che guidava la moto”. Inoltre ha detto di aver saputo che il delitto era stato compiuto “per fare un favore ad importanti funzionari della Polizia”. Anche su questo aspetto, molto probabilmente, si concentreranno le ulteriori indagini dei pm. Accertamenti necessari e che alimentano la speranza che si arrivi ad un processo in grado di fare giustizia su un caso irrisolto ormai da 27 anni.

 

 

Articolo del 30 Ottobre 2016 da Il Fatto Quotidiano Fonte 19luglio1992.com I parenti dell’agente Agostino “Processate Faccia di mostro” di Sandra Rizza Chiuse le indagini sul poliziotto ucciso a Palermo nell’89: la parte civile chiede ai pm di incriminare Aiello indicato dai pentiti come il killer dei Servizi e due boss Gli approfondimenti ordinati nel giugno del 2015 dal giudice Maria Pino, che aveva rigettato la richiesta di archiviazione concedendo altri sei mesi di tempo per nuove verifiche, sono stati eseguiti. E ora i termini dell’indagine preliminare sull’uccisione dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, assassinati il 5 agosto 1989, sono scaduti. Ma la Procura di Palermo ancora non si muove. E così il difensore di parte civile, l’avvocato Fabio Repici, ha inviato una memoria ai pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia (gli stessi del pool Stato-mafia) sollecitandoli ad “assumere le determinazioni conclusive”. Cioè? “Esercitare l’azione penale nei confronti degli indagati, previa emissione dell’avviso di conclusione delle indagini”. A 27 anni dal duplice delitto di Villagrazia di Carini, nel mirino delle indagini c’è l’ex poliziotto Giovanni Aiello, detto “Faccia di Mostro” e ci sono i mafiosi Gaetano Scotto e Salvino Madonia, boss di Resuttana. Proprio sul loro ruolo si sono concentrati i nuovi accertamenti espletati dai pm nell’ultimo anno: il pentito Vito Galatolo ha riscontrato il collaboratore Vito Lo Forte “sui rapporti tra Scotto ed esponenti della polizia di Stato e dei servizi di sicurezza”. Poi a febbraio scorso, in un confronto all’americana nell’aula bunker dell’Ucciardone, Vincenzo Agostino ha riconosciuto Aiello come l’uomo che venne in motocicletta a cercare suo figlio pochi giorni prima dell’omicidio. “È lui!”, ha urlato l’anziano padre, prima di perdere i sensi per un malore. E ora? Tutte le sollecitazioni investigative pronunciate dal gip, scrive Repici nella sua memoria, “hanno trovato conferma piena: non resta che procedere con la richiesta di un processo”. È la prima volta che un legale di parte civile si spinge a una pressione così esplicita sulla conclusione di un’inchiesta dai risvolti istituzionali. Ma per il dossier Agostino, che oggi punta a chiarire il ruolo cruciale di “Faccia di Mostro”, indicato dai pentiti come il killer dei servizi, non è la prima sollecitazione esterna che arriva a stimolare l’attività dei pm. Già nel 2015 il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, rilevando l’inerzia della Procura, avocò l’indagine “al fine di compiere tutte le investigazioni utili” su un caso che potrebbe essere collegato all’attentato all’Addaura, dove due mesi prima qualcuno aveva piazzato 20 chili di tritolo a pochi metri dalla villa di Falcone. Chi? “Menti raffinatissime”, disse il giudice antimafia, che per la prima volta parlò di “collegamento tra Cosa Nostra e centri occulti di potere”. Un’iniziativa, quella di Scarpinato, che secondo Repici già in quella fase “preludeva all’esercizio dell’azione penale”. Ma poi il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi mise in dubbio la legittimità del decreto di avocazione, giudicandolo “tardivo” e la Cassazione gli diede ragione, restituendo il fascicolo ai pm. Oggi la storia sembra ripetersi. Nella memoria di parte civile, firmata anche da Agostino padre, si legge che “sono incontrovertibili le acquisizioni sulla sinergia tra Madonia, Scotto, Aiello, e un blocco criminale, individuato tra Polizia e servizi segreti”. Due anni fa l’anziano Agostino ha denunciato: “Nel 1990 l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera mi convocò per mostrarmi le fotografie dei possibili assassini di mio figlio. Puntava il dito su un biondino mai visto prima. Solo dopo la strage Borsellino, riconobbi che si trattava di Scarantino”. Ormai, sottolinea Repici, una conclusione positiva per l’ipotesi d’accusa è stata raggiunta “sulla contiguità tra La Barbera e il clan di Resuttana, così come sui tentativi di depistaggio della sua squadra a Palermo. Il processo si deve fare – conclude l’avvocato – anche per ripagare le persone offese dalle oltraggiose azioni di depistaggio, correlate alla necessità che possenti apparati criminali mantenessero l’impunità”.